Shuffle #11: The National - Space Invaders
Dobbiamo parlare di questo decimo album giunto a sorpresa. In quale momento siamo per questa band?
La carriera di band (o artisti) è quasi sempre un pò quella, come le carriere degli sportivi. Esordio (a volte con chiari capolavori, a volte con qualcosa che fa intravedere il talento) poi spesso una crescita fino all’apice (che può essere il secondo, il quarto, magari il quinto disco).
Da un certo punto in poi, fisiologicamente anche gli artisti migliori (quasi tutti eh) smettono di crescere e migliorare, si assestano sui loro standard, provano (spesso, non sempre) di fare qualche scarto laterale per variare la propria proposta e poi arriva un momento in cui la loro carriera diventa abbastanza irrilevante.
Non sarà il disco numero 12 di Bruce Springsteen quello simbolo della sua carriera, non lo sarà il numero 10 degli U2 e via così.
Dieci dicevamo, che è anche il numero di “Laugh Track”, decimo (appunto) disco dei The National (ci siamo arrivati dopo dodici righe, alla faccia di questi tempi veloci di lettura e attenzione, ci scusiamo) che ha una particolarità non da poco: è il fratello di “First Two Pages of Frankestein” uscito ad aprile, dopo quattro anni di silenzio.
Nella prima parte della loro carriera la band di Cincinnati è riuscita a crescere sempre, in qualità e pubblico, toccando probabilmente le vette compositive tra Alligator, Boxer e High Violet. Poi si è mantenuta sempre su standard alti ma senza ulteriori picchi, aprendo però la propria porta a collaborazioni e scrittura per e con tantissimi artisti, da un vero e proprio sodalizio con Bon Iver al lavoro, ad esempio, di Aaron Dessner (chitarrista e mente creativa chiave della band) con Taylor Swift, in particolare per l’album Folklore.
La parabola si fa un pò strana in questo 2023: due album, una enormità di canzoni arrivate dopo una dichiarata crisi creativa e di scrittura e invece: due album in pochi mesi.
Leggendo un pò i commenti, tra recensioni e social la sensazione è stata un pò di stanchezza. “Bello eh, ma è sempre un pò quello”. “Mancano le emozioni”.
Ora: il gruppo abbia una propria cifra stilistica chiara da cui fatica a staccarsi (anche se ci ha provato, eccome ) è evidente ma contemporaneamente, per tornare alle metafore iniziali, ha ancora un livello qualitativo, energico e emozionale che non permette di metterli in panchina.
Ad oggi i The National sono Bolt che arriva di muscolo all’ultima medaglia olimpica, sono l’ultimo podio di Valentino Rossi, o ancora l’Australian Open vinto da Federer dopo un anno di infortunio a 35 anni: sono ancora lì con una dose eccessiva di talento e la sensazione della rinnovata voglia di esserci e scrivere grandi canzoni.
In particolare, il consiglio sta nei quasi sette minuti di “Space Invaders”: lenta ed avvolgente, con un finale che toglie il fiato in gola in un crescente di batteria e suoni che fa pensare ad una piccola instant classic. Insomma, probabilmente siamo verso la conclusione della “parte interessante” della carriera, ma l’idea è che con questo doppio album il gruppo abbia spostato un pò più in là la distanza verso il momento in cui smetteremo di ascoltarli.
Siamo ben chiari: è una sensazione bellissima.
Se vuoi, ascolta tutto il disco “Laugh Track” su Spotify, acquista l’album “First Two Pages of Frankestein” (mentre quest’ultimo disco sarà disponibile dal 17 novembre) e se hai piacere ascolta la playlist su Spotify con tutte le canzoni segnalate dall’inizio della nostra newsletter!
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